Italia

Migranti, l'aumento degli sbarchi a Lampedusa preme sulla rete transfrontaliera del Monginevro

L'autobus che da Oulx porta a Claviere ferma davanti alla stazione dei treni e già un'ora prima del suo arrivo il piazzale si affolla di migranti giunti nel piccolo paese della Valsusa dalle coste italiane o attraverso la rotta balcanica e che nella notte proveranno a passare la frontiera con la Francia attraversando le montagne, cercando di sfuggire ai controlli della gendarmeria. Qualcuno riuscirà ad arrivare a Briançon mentre i meno fortunati saranno intercettati dagli agenti e respinti in Italia. Si dice che la fortuna aiuta gli audaci, quindi domani si ricomincia, altro autobus, altra traversata e forse quella sarà la volta buona. Hajri ha 53 anni e arriva da Nabel, in Tunisia. Ha passato qualche anno in Francia e poi ha deciso di tornare al paese per prendere con se due dei 4 figli, Yussef e Amine e ritentare con loro la traversata. “Spero di riuscire a passare, lassù molta gente muore ma non abbiamo altra scelta. Aspettiamo che venga la notte e dopo ci proviamo. Se abbiamo fortuna passiamo altrimenti torniamo indetro e domani o dopodomani ci trovi di nuovo qua. Tentare e ritentare è l'unica possibilità che abbiamo ”, racconta a La Presse: “Tutti gli africani vogliono andare via, la gente laggiù ha fame e non ha risorse per mantenere una famiglia. Almeno i miei figli scappando possono sperare in un futuro migliore”. Con l'aumento degli sbarchi a Lampedusa i numeri ai confini si sono fatti importanti e ogni notte dal rifugio Massi passano circa 200 persone. Oggi gli arrivi sono prevalentemente dalla rotta africana ma il flusso va a periodi e in passato ci sono stati numeri alti anche sulla rotta balcanica, quindi Medio Oriente, Afghanistan, Pakista, Iraq, Iran, Siria. “I flussi sono un po' come l'acqua, quando trovano una barriera poi la aggirano e quindi cercano una possibilità. Ora siamo in un'emergenza critica e continuativa perché i numeri sono molto alti”, spiega don Luigi Chiampo, sacerdote diocesano responsabile della struttura: “Io dico sempre che nessuno lascerebbe volentieri il proprio minareto o il proprio campanile se stesse bene, casa è sempre casa, ma quando non lo è più, non è più luogo di speranza o dove costruire qualcosa è normale abbandonarla. Abbiamo passato periodi in cui avevamo le definizioni aggettive dei migranti, C'erano i migranti economici, ora il migrante riconosciuto è quello del rifugiato politico. In futuro, quando il Sahara si mangerà l'Africa ci sarà il migrante ambientale. Per questo bisogna ragionare con spirito costruttivo e progettuale perché così è nei giorni nostri e sarà sicuramente così in futuro”. Le pattuglie francesi sui sentieri alpini, catturano e respingono senza sosta ma le maglie non sono impenetrabili e un gran numero di migranti, stanchi, scalzi e affamati arrivano a bussare alla porta dell'associazione Solidarity Refuges a Briançon. Qui i volontari offrono loro cibo, cure mediche la possibilità di lavare i panni e farsi una doccia. Il 28 agosto, a causa dell'alto numero di richiedenti asilo, l'associazione ha dovuto chiudere temporaneamente le “Terrazze solidali”, il centro di accoglienza allestito dal 2021 in un ex sanatorio e grazie all'aiuto della chiesa di St. Catherine Parish, ha allestito una tendopoli. “Ci occupiamo delle persone che una volta attraversata la montagna si trovano in difficoltà e con altre ONG offriamo assistenza, cibo, un letto e consigli”, racconta Jonathan Mounal di “Refuges Solidaires”, “Ma il numero di arrivi dal versante italiano delle Alpi, in questo periodo è stato talmente elevato che abbiamo dovuto chiudere il centro poiché non potevamo garantire assistenza a più di 300 persone al giorno e così abbiamo scelto di allestire questa tendopoli”. Nella parole degli ospiti del campo prevale la gioia di per aver oltrepassato il confine e l'ottimismo per ciò che potrà riservare il futuro. Molti di loro già sognano di poter riabbracciare i parenti che gli hanno preceduti. Pensieri velati dalla nostalgia per chi è rimasto in patria. “Al mio paese facevo una vita troppo brutta e così ho deciso di migrare. Ho passato del tempo in Italia ma lavoravo nei campi senza documenti e così ho deciso di provare a raggiungere la Spagna”, racconta Rachid, marocchino di 23 anni: “Da tre anni non vedo i miei genitori, ma più di tutti mi manca la mia piccolina, mia figlia che è rimasta con loro al paese”.
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