Fondi europei

Sulcis, la burocrazia mette a rischio 1.2 miliardi di investimenti

di Davide Madeddu

Un miliardo e duecento milioni per rilanciare l’industria del Sulcis, in Sardegna. La grande occasione passa per una serie di risorse pubbliche e private cui si accompagnano progetti per rimettere in marcia attività ferme o avviare nuove iniziative produttive. I programmi però, rischiano di bloccarsi o di naufragare a causa dei tempi lunghissimi dettati dalla burocrazia, dalle numerose autorizzazioni e dalle modifiche da apportare ai progetti. Il panorama spazia dalla filiera dell'alluminio a quella che interessa piombo e zinco, per continuare con le nuove iniziative su rinnovabili e e sperimentazione agricola.
A fare i conti con le lungaggini e la burocrazia il progetto di rilancio dello stabilimento Eurallumina. Ossia la raffineria che trasforma la bauxite in allumina (la materia prima da cui si ricava l'alluminio primario). L’azienda controllata dalla russa Rusal ha un piano da 300 milioni per riadeguare lo stabilimento di Portovesme e dare il via alle produzioni. Il progetto è ancora in stallo perché mancano alcuni passaggi che riguardano sia il dragaggio del porto sia la sottoscrizione dell'Addendum al memorandum of understanding, mentre i lavoratori sono ancora in cassa integrazione.
Sempre nel polo industriale del Sulcis c’è il programma di investimenti annunciato dalla Glencore attraverso la Portovesme srl. L’azienda che produce piombo, zinco, oro, argento e rame, al momento, è alle prese con la crisi dettata dagli alti costi dell’energia e ha annunciato lo stop alla linea piombo e il ricorso alla cassa integrazione. I piani per il futuro, prevedono un intervento immediato con investimenti per 5 milioni di euro per la definizione di un progetto pilota finalizzato alla produzione di litio destinato alla fabbricazione di batterie, e uno in prospettiva stimato in circa 400 milioni. In questo caso il progetto è ancora in fase di analisi e la valutazione tra Glencore e la partnership cinese, e prevede una conversione dello smelter con l'ipotesi di adeguare gli impianti per la produzione di manganese, litio, cobalto. In mezzo però c’è da risolvere la questione relativa ai costi dell’energia.
A funzionare, seppure con numeri ridotti rispetto a quanto prospettato inizialmente e con ritardi dettati dall’emergenza Covid e dai rinvii nelle autorizzazioni dovuti alla burocrazia, è lo stabilimento della Sider Alloys. L'azienda italo svizzera che ha rilevato dall'Alcoa l’industria che, sempre a Portovesme, produce alluminio primario dalla lavorazione dell’allumina. Per rimettere in sesto gli impianti fermi dal 2012 il gruppo porta avanti un piano di interventi che vale circa 150 milioni di euro tra risorse pubbliche e private. All'interno dell'area industriale sono già al lavoro circa 150 persone, ma a regime sono state stimate circa 400 unità lavorative.
Per il Sulcis c’è un’altra occasione che vale 367 milioni. Si tratta delle risorse economiche del Just Transition fund. Ossia quelle messe in campo dall’Unione europea per Sulcis e Taranto (complessivamente valgono 1 miliardo e 200 milioni) per ridisegnare il futuro dei territori con nuove azioni all'insegna dell'energia verde, rinnovabili e idrogeno oltre che innovazione digitalizzazione. Per il momento non ci sono ancora progetti definiti ma schede. I bandi devono essere predisposti dalla Regione. Una situazione che crea apprensione anche tra le organizzazioni sindacali e il mondo imprenditoriale che sollecita atti concreti e decisionismo
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